13€

Sono stata alla mostra Street Art Banksy&co (L’arte allo stato urbano) ed ho il magone.

Questo articolo non parla strettamente di Blu, di come si è venuti in possesso delle sue opere (non solo delle sue), sicuramente non parla del suo gesto già commentato da altri più esperti e nemmeno delle polemiche che ne sono seguite, se vi interessa vi mando direttamente a Giap  dei Wu Ming che da giorni gestiscono una conversazione che è ormai gigantesca e rispondono ai commenti con una pazienza certosina. Ormai è un carteggio fondamentale per la riflessione sulla Street Art.

Quello di cui invece parliamo è la mostra, cercherò di farlo nei suoi lati tecnici: anche la mostra più innovativa ha delle regole,  sopratutto se c’è la prospettiva di dover parare il colpo di aspre critiche e detrattori che sanno il loro mestiere.

La mostra, anche se didattica e per sua stessa ammissione in questo caso, quasi sistematica, non è un museo. Deve dare tutto, con variazioni minime, nei pochi mesi in cui rimane aperta, non è un processo in divenire o una istituzione che prevede una lunga durata, è il culmine di una ricerca. Insomma, indietro non si torna.

Come fa notare l’articolo di Vice l’allestimento è per le sue dimensioni impegnativo e un po’ di dubbi l’intera operazione li fa venire, ma qui è la giusta cura data alle opere che manca. A parte la lontananza siderale dal mondo della Street Art, qui è il mestiere del curatore, a soffrire: ogni opera sembra orfana. Io non sono una giornalista, quindi procederò per punti, ma sono punti così grossi nel mondo dei curatori che anche se sei solo una studentessa (come me),  sembrano palloni aerostatici.

  • Il silenzio tra le opere

Sebbene le si sia divise per “argomento” e raggruppate per autore, la scelta classica di presentarle con cornice su muro bianco, forse con l’intenzione di liberarne l’espressività,  ha invece l’effetto di isolarle, il dialogo tra queste è inesistente.  Il livello di interesse del pubblico è pari a “questa è famosa, con lui che tira il mazzo di fiori” (visitatrice davanti a Banksy).

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Banksy, Love in the air o “quella famosa con lui che tira i fiori”. Volete dargli torto?

Questa è una mancanza interessante: non si deve lasciare che il visitatore sia sperduto, anche se non ha investito nell’audio guida. Va bene il fattore emozionale, ma anche la sua stessa capacità di creare un significato in autonomia, attraverso quello che già sa, anche se impreciso, deve essere favorita e facilitata dalla mediazione del curatore, che è la figura professionale a doversene fare carico.

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Al primo sguardo mi sento respinta, non attratta da questa parete

 

  • La perdita d’identità  

Il messaggio delle opere è come morto, lo cerchi ma non c’è. Le opere sono state purificate a un livello tale che al posto di “senza titolo” si poteva mettere con tranquillità un “senza senso”. Il legame con la vera storia di queste opere è spezzato e ad essa si è sostituita un’agiografia basata su una loro dichiarata bellezza artistica, che le redime dall’essere nate per strada, ma le depotenzia. Sono lì perché belle, nessun racconto viene dai pezzi in esposizione e i pannelli non risultano sufficienti, non perché non ci siano spiegazioni,  ma perché da esse è stato tolto il reale messaggio. Questo va contro la regola numero uno del buon curatore: si deve comunicare, ogni minuto speso nell’allestimento di una mostra tende a questo scopo.

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I relitti “salvati” di Blu, frutto degli stacchi tanto discussi

 

  • Invader non invade

Va bene Blu, ma il più maltrattato è Invader. Bello allineato nel suo spazio, è l’artista più penalizzato di tutta la mostra, perde qualsiasi attinenza con il suo stesso nome. Nella città compare colorato e inaspettato, come se il videogioco avesse preso possesso della città reale, qui è un tributo alla geometria.

 

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Invader, “poveretto”

 

  • La mancanza del contesto

La mostra, un’esperienza grigia che fallisce nel suo ideale didattico, perché non solo preleva le opere dal contesto,  ma le passa attraverso una purificazione tale che non c’è più nulla da insegnare tranne una linea temporale asettica quanto precisa, che parte dagli albori del movimento a oggi. Basta un giro su Wikipedia e ti risparmi i 13 euro. I tagli di contenuto non le hanno giovato: sostanzialmente è noiosa perché i pezzi sembrano relitti più che esempi significanti della cultura urbana e a nulla giovano i loro stessi colori sgargianti,  anzi sembrano sottolineare che il loro posto non è quello. Questo è imbarazzante: se c’è una mancanza di contesto che inficia il significato ricostruisci, un minimo, giusto per aiutare il visitatore.  Meglio era se non te le portavi via, ma ormai ci siamo, quindi bara, barare nei musei è consentito,  ma bisogna farlo bene. Non è raro che un’opera soffra per la perdita del contesto in cui è inserita, succede sopratutto quando è riferita ad una cultura passata, lontana, ma può succedere anche per qualcosa di troppo nuovo, come potrebbe essere il graffitismo (inteso come arte) per alcuni visitatori. I modi per farlo li sai, li hai imparati sui libri: usali. Così sembra una mostra-mercato il che non l’aiuta a emanciparsi dalle critiche che le sono state mosse. Un esempio su tutti la mostra La Merica da Genova a Ellis Island, sull’immigrazione:  esponeva oggetti quasi di uso comune, ma doveva comunicare un messaggio preciso e lo ha fatto.

Magari non piazzare a scopo “video istallazione / ambientazione” un filmato con la canzoncina degli Eiffel 65, Blue  per la sala dei pezzi “salvati” di Blu, che è di cattivo gusto. Blu Da ba dee…sono mortificata, via, sciò, in Piazza Verdi a sciacquarvi le orecchie al Teatro Comunale. Anche se non entrate e rimanete fuori vedrete che, dopo un po’, con le arie registrate che passano dalle casse del teatro e parlando con i ragazzi che sono lì una bella canzone punk rock, ma anche hip hop decente la trovavate.

Io spero vivamente che il signor Brizzi mandi alla mostra sua Zia Cesira , però la signora non troverà nulla di quello che ha letto su internet riguardo questo tipo di espressione artistica. La può mandare tranquillamente, sarà una zia ben protetta dal messaggio culturale che i writer cercano di trasmettere. Se la Signora Cesira/Brizzi si è informata veramente, il nipote farà prima a portarla a R.U.S.C.O.  Forse è meglio che ci vada anche Brizzi stesso con la zia, magari il prossimo articolo non lo vede tirare in causa le compagne di scuola delle mogli di colleghi (e ‘sti cazzi non ce lo mettiamo?).

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Questa è una delle opere più fortunate: è inserita in un contesto palesato dalle due immagini accanto. Non sono così fortunate altre opere frutto di stacchi.

 

  • Messaggi poco chiari

La mostra completa non esiste, lo sappiamo noi visitatori e lo sanno i curatori. Raccontare questa forma d’arte nella sua “interezza, evoluzione e spettacolarità” come citato testualmente dal volantino, è una definizione molto interessante di questa che è una mostra sostanzialmente incentrata sul fenomeno del graffitismo. Di fatto si divide la Street Art, solo graffiti, da altre “forme di arte pubblica indipendente”. Ora le idee si confondono, anche perché nel sito ufficiale la medesima valutazione è espressa con più chiarezza. Quando andate a vedere questa mostra quindi troverete solo graffiti e opere tridimensionali di gusto pop. Non ci saranno riferimenti ad artisti che operano tramite forme diverse di “arte allo stato urbano”, se pensate poi alla Street Art, innovata tramite il computer, sappiamo che Keith Haring  lo usava già agli albori e che, ora come ora, è tornato l’uncinetto (alla fine forse è la Zia Cesira/Brizzi l’effettiva esperta, battuta però dalla Signora Brett  che però lavora a maglia)

 

  • Spacco tutto

Scusate è la parte più imbarazzante, parafrasando lo strambo, quanto privo (in questo contesto) di senso logo-stencil, “spaccare tutto” (quelli non sono i writer, sono gli hooligans) . Questa mostra parlava di fiducia, di nuove figure professionali i “curatori venuti dalla strada” : sicuri di sé e un po’ bulli (che si veda che la strada li ha segnati). Questa mostra però è l’apoteosi del classico e già visto, anche nei gadget. Cosa spaccano questi artisti? Forse le regole di un mercato che non riconoscono, forse queste regole sono il “tutto”? Davvero allora a queste opere non manca che il cartellino del prezzo.

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Mah…è una grafica di Cuoghi Costello, fuori luogo perché nessuno la capisce in questo contesto*. Ah, nel 2009 già c’erano le magliette con questo “logo”. Info in questo libro

Fortuna che fuori c’è ancora la vecchia Signora Bologna, ed anche se qualcuno le porta via un po’ d’arte dai muri non si dispera, perché sa che qualche altra mano è pronta a farla bella di nuovo.

 

*Ho corretto la didascalia, mi pareva di aver già visto questo stancil e non potevo andare a dormire serena se non controllavo.

Informazioni su Monia Marchettini

Appassionata ricercatrice di cose da imparare, sono laureata in Storia e conservazione dei beni culturali storico-artistici. Scrivo di Street Art perché mi piace, pare che sia un requisito fondamentale per fare le cose per bene...vedremo.
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9 risposte a 13€

  1. Cristina ha detto:

    Esattamente quello che uno vorrebbe da un critico: lucidità, chiarezza, sostanza, una presa di posizione chiara (invece di fare appello a categorie trascendentali e fumose o arroccarsi dietro la posizione dell’esperto). In tutte le voci contrarie o “neutrali” rispetto al gesto di Blu non ho trovato altro che supercazzole, diversivi basati sul puro nulla, a partire da Corsello (!) per finire con Brizzi, che è uno scrittore e quindi in teoria un intellettuale. Che tristezza vederlo prendere parola accontentandosi di fare il verso agli opinionisti del costume locali e nazionali (come se se ne sentisse il bisogno), senza avvertire né il desiderio né il dovere di fare qualche considerazione nel merito della miriade di questioni sollevate dalla mostra, lui che ha partecipato attivamente alla vita culturale della città ed è stato uno dei suoi narratori. Però poi trovo letture come questa che vanno dritte al sodo di una questione specifica rispetto a un ambito di cui sono competenti. E di fatto tocchi un problema centrale da cui si è fatto di tutto per distogliere l’attenzione, e cioè di etica della curatela, di chi controlla il modo e le line di discorso secondo cui si conserva, diffonde, divulga l’arte, e in particolare quell’arte che non solo non nasce per il museo ma è per definizione incompatibile con l’istituzione museale classica, sia esteticamente che politicamente (che non significa che non si possono fare mostre sulla street art, ma semplicemente che bisogna farle bene, nel rispetto delle opere, del discorso artistico e politico che c’è dietro e più in generale dell’intelligenza di tutti). Grazie davvero. Verissimo che il dibattito su Giap è stato centrale per articolare un dibattito sensato sulla vicenda, ed è lì che ho scoperto questo post.

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    • Monia Marchettini ha detto:

      Ti ringrazio moltissimo! In realtà questo è solo il mio secondo post, spero di migliorare. Concordo con te, le mie perplessità derivano soprattutto dalla disparità tra le dichiarazioni e la realtà della mostra. L’articolo di Brizzi poi, mi ha lasciata basita, non sono nemmeno riuscita a capire se la mostra l’ha vista veramente.

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  2. federico ha detto:

    Non sono stato alla mostra ma non mi aspetto nulla di piu di ciò che hai scritto (vedendo le immagini poi…), lo sai vero che ora diranno che l’hai scritto SOLO per attirare l’attenzione su di te? proprio come Blu! 😉

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    • Monia Marchettini ha detto:

      Pensa che io lo volevo usare come esercizio, per farmi le ossa… Se qualcuno mi facesse un’accusa simile dovrei rispondere solo grazie. Grazie ragazzi per aver fatto una mostra che una studentessa, che ha aperto un blog da una settimana, può criticare e trovare pure chi l’ascolta! Blu brucia, è un grande artista la cui fama e il cui talento si equivalgono, il suo gesto li mette a disagio, ma pensa che figura farebbero con queste premesse: andare contro ad una principiante che vale il peso di due soli post sul suo blog. La polemica aiuterebbe più me che loro. Confido che tutto ciò sia loro palese. 😉

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  3. arte2 ha detto:

    Per fortuna che hai precisato che lo stencil di “spacco tutto” appartiene a Cuoghi e Corsello, che non solo hanno partecipato alla mostra, volontariamente, ma hanno anche aiutato per l’allestimento. In anteprima, ho saputo che hanno anche intenzione di girare un video, o fare una performance itinerante, proprio all’interno del museo.
    Non voglio difendere la mostra, che purtroppo non può neanche lontanamente rappresentare la street art, ma, per quello che so, i graffiti son stati staccati da un’associazione con l’obiettivo di conservare quello che sarebbe stato distrutto con la riqualificazione di stabili, o quant’altro.

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    • Monia Marchettini ha detto:

      Grazie per la tua gentilezza.
      Per la prima parte del tuo commento- Non mi piace troppo ne lo specifico stancil (ma sono gusti personali) ne l’allestimento (questo invece non dipende strettamente dai miei gusti). Purtroppo non c’è nulla che possa aggiungere. Cuoghi e Costello sono tra i primi ad aver portato la Street Art in Italia, mala mostra non mi piace comunque. Ovviamente se vogliono usare la loro arte per performance o video al suo interno, grandioso. La mostra continua a non piacermi.
      Per la seconda- Come precisato nell’articolo non parlo strettamente di cosa si doveva staccare e perché, anche se non sono favorevole agli stacchi fatti con il dubbio del disaccordo dell’autore. Anche se le opere avranno una fine che non si ritiene degna, evidentemente l’autore l’ha prevista. Mi azzardo a dirlo, non conosco Blu, ma un po’fa parte dell’opera e del suo significato. Altri stacchi non sono commentati, se non nella loro esposizione, perché ogni autore è libero di dare il suo consenso. Prendi proprio Cuoghi e Costello, hanno lavorato sia per gallerie pubbliche che private. Se l’autore ti dice un si chiaro puoi esporre quello che vuoi, con le giuste regole, ma liberamente. Anche se io preferisco il metodo “tour nei luoghi della Street Art” o quello di R.U.S.C.O. Così, a freddo: fai un video dell’abbattimento per aprire il dibattito proprio all’interno della mostra stessa, in questo modo la leghi alla riflessione positiva sul fenomeno e non alle polemiche.

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  4. Pingback: Street Art Banksy and Co: una recensione – hookii

  5. Nico ha detto:

    quello sgorbio nell’ultima foto farebbe bella Bologna?

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  6. Freti ha detto:

    Nico hai ragione, che degrado…..

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